
Siamo sull’orlo del baratro ambientale, e i governi non hanno alcuna intenzione di invertire la rotta , anzi…
Lo abbiamo visto con l’inaugurazione di una stagione europea – e più in generale atlantica – dal forte segno reazionario e bellicista, che di fatto sta mettendo una pietra tombale su ogni possibilità di uscire dalla crisi climatica; lo vediamo nel nostro Paese, in cui la formazione del Governo Meloni, con la strada spianata dai precedenti governi Conte e Draghi, ha dichiaratamente preso posizione dalla parte dei gruppi industriali, delle compagnie energetiche di bandiera, dei costruttori. Nessuna sorpresa: siamo di fronte al volto più brutale dell’ecocidio capitalista, che sotto la bandiera della sovranità energetica e della produttività italiana, sta accelerando la devastazione dei territori e inasprendo una crisi climatica dagli effetti sempre più devastanti e pervasivi.
È evidente nei posizionamenti spot, come la contrarietà allo stop europeo delle auto a benzina entro il 2035, o la recentissima riforma della legge sulla caccia – tutti provvedimenti tesi a strizzare l’occhio all’elettorato più reazionario; ma in questi tre anni di legislatura è stato portato avanti un attacco nei confronti dell’ambiente ben più ampio e sistematico: una vera e propria guerra in nome del profitto che rappresenta un’aggressione deliberata al nostro presente e al nostro futuro.
Sul fronte energetico, conseguentemente al coinvolgimento europeo nella guerra in Ucraina, la marcia indietro sul GND allinea perfettamente le politiche dell’UE e la propaganda del Governo, che può seguire alla lettera i dettami di Bruxelles salvando parte della narrazione reazionaria e negazionista dietro le proprie politiche. La maschera verde europea è stata spazzata via dalle scelte politiche obbligate dalla competizione, eliminando la lotta al cambiamento climatico dalle priorità delle agende politiche europee e locali.
Dal RePowerEU al ReArmEU, il filo conduttore politico è lo stesso: indipendenza dalla Russia, controllo degli asset strategici, rilancio del nucleare nella duplice chiave di “sicurezza” energetica e militare europea. Con questa funzione tornano in auge la rigassificazione del GNL, si procede all’approvazione della Legge Delega al Governo in materia di nucleare, si varano il Programma Nazionale di esplorazione mineraria ed il Piano Mattei.
Eppure, per quanto queste misure tentino di richiamare a delle politiche di programmazione strategica delle attività del Paese per alimentare la propaganda di un governo nazionale forte, è viva alla base di queste scelte l’impostazione neoliberista europea che subordina le politiche nazionali a quelle continentali nel favorire la predazione delle aziende private sul pubblico. Basti pensare al ruolo sempre più preponderante affidato al privato anche in settori come la produzione di energia nucleare, o la fine del mercato tutelato dell’energia, avvenuto con questo Governo sotto impulso del PNRR.
Anche un altro settore strategico – quello agricolo – sconta politiche che nulla hanno a che fare con la “sovranità”, anzi. È il caso della liberalizzazione delle TEA – nuovi OGM – perorata dallo stesso Governo che si è dichiarato dalla parte degli agricoltori ma che aumenterebbe a dismisura il potere delle multinazionali sementiere e agritech, schiacciando l’agricoltura contadina e le piccole imprese.
Si continua così a plasmare il tessuto produttivo e sociale secondo il criterio del capitale, che mette la valorizzazione davanti ai bisogni e ai diritti della popolazione, e quindi anche davanti alla tutela dell’ambiente. I tentativi di rilancio del processo di accumulazione hanno partorito delle mostruose politiche di keynesismo militare, a partire dagli 800 miliardi stanziati in riarmo dall’UE, passando per gli 865 miliardi destinati al nucleare, fino ad arrivare allo specifico impegno italiano di un ulteriore aumento del PIL destinato alle spese militari. Poco importa, per la nostra classe dirigente, se questi soldi vengono sottratti alla lotta contro la crisi climatica e alla tutela dei territori; poco importa se questa spesa serve ad oggi ad armare un genocidio, come sta succedendo in Palestina, che viene portato avanti da 70 anni da parte di Israele usando come arma anche la devastazione ambientale. Anche qui il nesso tra guerra, colonialismo e crisi ecologica è evidente: l’occupazione passa per l’appropriazione delle risorse naturali e per la distruzione di tutti gli elementi di sussistenza di un popolo – e il Governo Meloni, con il sostegno politico e materiale ad Israele, con i profitti che aziende italiane (prime tra tutte ENI e Leonardo) fanno sulla pelle dei palestinesi, si rende complice di tutto questo.
Le ripercussioni sul fronte interno della crisi climatica e di queste priorità politiche sono tutte a discapito delle classi popolari.
Le situazioni di estremo ricatto tra salute e lavoro, come nel caso di Taranto si riproducono ovunque: nei cantieri come nei campi, dove si muore per il caldo estremo, l’assenza di sicurezza; nei magazzini della logistica dove i ritmi consegna inaffrontabili vengono imposti nonostante le condizioni climatiche sempre più critiche, unite all’impunità dei padroni; nelle periferie urbane, dove la mancanza di verde e l’inquinamento aumentano malattie cardiovascolari e respiratorie, mentre i quartieri ricchi si proteggono con alberature, isolamento termico e accesso a servizi sanitari migliori; nelle aree interne, condannate dal Piano Strategico Nazionale a un’eutanasia programmata perché considerate “non valorizzabili” per il capitale.
In Italia, l’inquinamento atmosferico provoca circa 80.000 morti premature all’anno (dato OMS), ma i tassi di malattie croniche sono più alti proprio nei quartieri popolari e nelle città più cementificate, come Milano, Bologna e Torino. Allo stesso tempo, le bollette energetiche e l’aumento dei prezzi vengono scaricati sui lavoratori e sulle famiglie, mentre le compagnie come ENI, Snam, Enel e i grandi gruppi del cemento registrano profitti record. La crisi climatica è crisi sociale: chi produce la devastazione e la crisi ne trae profitto, chi la subisce ne paga i costi altissimi, che prima di essere economici, sono ambientali e sociali.
Le opere più grandi che si dovrebbero finanziare (la messa in sicurezza dei territori, le bonifiche, la ripubblicizzazione dei settori strategici, la sanità pubblica) vengono accantonate per privilegiare quelle più inutili e disastrose, come la TAV o il Ponte sullo Stretto di Messina recentemente approvato, che si riciclano perfettamente nel quadro del potenziamento della rete logistica militare europea.
È così che lo Stato assume non più un ruolo di direzione politica nell’interesse pubblico, ma di cabina di regia per oliare con finanziamenti pubblici e leggi ad-hoc gli ingranaggi del neoliberismo europeo: il Governo ha la funzione di liberare la speculazione da lacci e lacciuoli legali – come vediamo con gli snellimenti degli iter autorizzativi ambientali previsti dal DL semplificazioni, ma anche con l’inasprirsi delle misure repressive nei confronti di attivisti ambientali e sociali come nel caso dei DL “sicurezza” ed “ecovandali”; alle amministrazioni locali invece va il compito di predisporre i territori alla valorizzazione. Questa è la dinamica alla base dei “Modello Milano”, “Modello Giubileo”, ecc.. un unico modello di metropoli plasmata sull’attrattività per i capitali, la cui trasformazione è massicciamente finanziata al livello europeo e portata avanti dalle giunte delle principali città (Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli …) ad oggi tutte governate dal centro-sinistra.
Per questo è evidente come l’uscita da questo paradigma non possa prescindere dalla costruzione di un’alternativa a quel “Campo Largo” i cui soggetti promotori sono oggi il principale motore della governance neoliberista dei territori, ma che verso la prossima partita elettorale proverà a riciclarsi in una sempre meno credibile opposizione “all’avanzata delle destre” e sicuramente si riscoprirà ambientalista per qualche mese.
Con questo approccio dobbiamo affrontare questo nuovo anno di lotte: produrre momenti di ragionamento e di conflitto; dare battaglia sui territori a fianco delle tante realtà con cui siamo in rete, dai movimenti contro le grandi opere da Torino a Messina, ai comitati per il verde e contro la speculazione e la devastazione dei territori da Roma a Bologna, a tutto il territorio nazionale; attraversare le tante piazze che si prospettano, in un panorama in cui le contraddizioni sono sempre più esplosive, soprattutto al livello internazionale, la lotta ambientalista non può che essere anche lotta contro colonialismo e genocidio: difendere i territori e l’ambiente vuol dire essere senza se e senza ma al fianco della resistenza palestinese.
Il mondo è in fiamme, e come EcoResistenze porteremo avanti un ambientalismo di classe che sappia parlare a chi subisce ogni giorno questa crisi sulla propria pelle: lavoratori dei cantieri e dei magazzini, quartieri popolari, comunità marginalizzate e territori abbandonati. saremo nelle mobilitazioni globali per il clima, come ci uniremo convintamente a quelle di carattere generale contro la guerra e lo sfruttamento, consapevoli che non ci può essere un mondo sostenibile senza un cambiamento radicale nella società.